Walden di H. D. Thoreau e l’Io nei Boschi

Walden di H. D. Thoreau e l’Io nei Boschi

2 Febbraio 2023 0 Di Kosmika

di Silvio Talamo

Tempo di riletture e quando c’è un libro da rileggere va da sé che ne debba valere la pena, che sia qualcosa di mai veramente passato, anzi sempre attivo in un modo o in un altro. In genere queste sono virtù che hanno quei libri considerati classici. Bene, Walden di Henry David Thoreau è un classico, un classico della letteratura americana. Cosa succede in questo libro? Se lo approcci partendo dalle spiagge del racconto: l’azione, il personaggio, la trama, e spero di non fargli torto, io credo non succeda niente. Non sono neanche sicuro che ci sia una trasformazione finale, se ne potrebbe discutere.

La genesi, la storia da cui l’opera ha visto la luce è ormai topica. Thoreau lascia la città e va a vivere in un cottage che si costruisce da solo nel bel mezzo di una tenuta appartenuta ad un’altra figura importantissima della cultura americana: Waldo Emerson, quel Waldo Emerson di cui Nietsche era lettore, che fu autore, tra i tanti saggi, del panphlet Natura; ingegno prezioso del trascendentalismo americano. Thoreau rimarrà a vivere nel cottage, una piccolissima capanna immersa in geografie naturali (reali e psicologiche) per circa due anni, dal 1845 al 1847, esplorandone i paesaggi.

Lì non ci sono fabbriche, ovvio, non ci sono negozi, non piazze, non c’è elettricità o gas, l’acqua è quella dei laghi, i sapori non hanno condimento, l’inverno non consente mediazioni eccessive, la socialità è spesso un elemento che interviene ad interrompere il silenzio della boscaglia. Vivere in una capanna nel mezzo di una foresta, è questo il viaggio, quel momento dove l’assenza si ripopola delle cose della natura, dove un fruscio assume un senso, dove il vento è una presenza, le formiche diventano moltitudini e poi storie e dove l’allontanamento dall’altro, su cui è stato molto detto, è un modo per concentrarsi sulla propria coscienza ed il proprio io. Attraverso questa pausa Thoreau affronterà le riflessioni che ritornano in questo quasi diario e che stanno alla base del suo sentimento di libertà, di autonomia.

Se però l’individualismo è una depressiva esasperazione del presente, ammaccata dai processi della performance economica (sì oggi economia e performance sono drammaticamente connesse), l’io che Thoreau mette all’atto ha momenti d’apertura, di critica, di alterità che per me ne fanno un caso. Critica del tempo lavorativo che strappa l’integrità all’uomo autoconsideratosi negriero di se stesso. Critica della moda, dove, in una esplosione di magico utilitarismo spartano tra i boschi, i vestiti servono semplicemente a coprirsi, non più status symbol. Critica del costo che l’individuo paga alla civiltà. Forse con mio dispiacere, chiudendo le porte a molta parte del simbolismo e dell’estetismo, qui si raggruma una guerra contro il lusso, un surplus estetico e letterario a cui non credo sia possibile rinunciare, ma il percorso del libro è così forte che non possiamo fare altro che seguirlo.

Si tratta di un alito certamente romantico, utopico, risoluto nel suo voler scaricare il tempo dell’individuo dal peso di quelle condizioni che lo lasciano appassire in una sorta di autonegazione moderna. Una volta usciti da questo tunnel … emerge la natura. Un bagno nel lago presto al mattino è un atto religioso. Quello dell’autore è un temperamento rude ma che anela al suono della foresta, la melodia della civetta. In questo spazio “il corpo è un solo senso” ed i sensi della natura rifiutano la malinconia, si procede in un “oceano di sottili intelligenze”, una parte di se stessi che è al tempo stesso altro osserva il mondo, “una nuova eternità”, e l’io viene assunto al rango degli elementi naturali.

In un mondo dove anche i fagioli e i semi hanno una storia bisogna perdere il mondo per recuperare se stessi. Thoreau cita la Bhagavad Gita, i Veda, Cerere, Kabir, forse uno dei primi ad attraversare le suggestioni del pensiero orientale. La scrittura non so se sia indicabile come flusso, piuttosto un passaggio costante tra il descrittivo, il ricordo, la riflessione che è una teoria delle cose, l’elencazione del fatto interno ed esterno assegnato allo scrittore dal suo stare, dal suo semplice rimanere nel bosco.

La Capanna dove Henry David Thoreau ha vissuto tra il 1845 e il 1847

Un’esperienza come questa non poteva durare così fieramente priva di mezzi, così irrimediabilmente borderline, così tanto fuori dalle tendenze della storia e al tempo stesso così ad essa differentemente interna, ed in effetti l’autore lascerà la capanna per tornare alla sua vita. Thoreau, scrittore pacifista letto da Gandhi, passa in rassegna tutti i temi che nella nostra contemporaneità reclamano risposte ma soprattutto pone una domanda sull’io nel tempo della vittoria dell’individuale in quanto chiusura, nel tempo dello strapotere asfissiante dell’ego. Un io chiuso ed un io aperto, quella zona liminare che si apre indubbiamente alle suggestioni della massificazione, dei complotti e di una solitudine mortale così quanto, ed in contrapposizione, ad uno stato di pienezza, un’apertura alla natura che non è un picnic. Si tratta del trionfo del selvaggio ma anche dell’assorbimento e la neutralizzazione dell’animalità più bassa attraverso la purezza, quest’ultimo concetto comunque tutto da interpretare.

Lungo tutto il suo attivismo, non solo quello estetico, sebbene in un sottrarsi utopico, è sempre dal dentro che si parte. Non si tratta di una tensione oppositiva verso l’esterno quindi, ma di un accordo verso l’interno o che, partendo dall’interno, vive in un reciproco abbraccio con l’esterno, l’elemento verde. Questo è il suo io.
Non credo nella demarcazione eppure l’esperimento ha lasciato un segno che continua ad essere vitale.